Lo scorso luglio è finalmente entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell’Insolvenza (CCII). In attesa di poterlo apprezzare nella pratica, vorrei qui soffermarmi su un aspetto secondo me cruciale: la necessità di un giusto bilanciamento tra la tutela degli interessi dell'impresa e dell'imprenditore in nome della continuità aziendale, e quelli dei creditori finanziari, affinché non si scoraggi il flusso di investimenti necessari a fornire le risorse fresche indispensabili al perseguimento del rilancio aziendale.
Va sottolineato che fino a pochi anni fa, il fattore in grado di produrre discontinuità nella vita di un'azienda era il ciclo del credito legato alle fasi di espansione o contrazioni dell’economia. Cicli pluriennali che sono stati sostituiti da fattori di “spaccatura” che saranno di lungo termine e aumenteranno la frequenza dei momenti di crisi nel ciclo di vita dell’aziende. In AlixPartners ci riferiamo a questo fenomeno con il termine Disruption cycles.
Ma quali sono questi fattori di spaccatura?
Anzitutto il fattore demografico. La forza lavoro disponibile nei paesi sviluppati ha smesso di crescere e, in alcuni casi, va restringendosi facendo venir meno uno dei fattori propulsivi dell’economia.
Poi c'è il fattore tecnologico, di cui la digitalizzazione è un aspetto, che incide sulla produttività e quindi sulla competitività. Un elemento molto importante ai fini della prevenzione delle crisi. Personalmente non ho quasi mai visto aziende in crisi che avessero buoni sistemi informatici e digitali.
In terzo luogo c'è lo sconvolgimento delle catene di approvvigionamento provocato dalle tensioni geopolitiche in varie aeree del mondo. In parte questa rivoluzione rientrerà, non prima però di aver spinto molte aziende a riflettere sui rischi insiti nella loro catena di valore.
Infine, ma non certo in ordine di importanza, la transizione climatica, che impone a molte aziende di azzerare le emissioni nette di Co2. A questo ovviamente si aggiungono le difficoltà congiunturali, inflazione e tassi più alti, che tenderanno a essere, almeno per un certo periodo, strutturali.
A causa di questi fattori di spaccatura, alcune categorie di aziende inevitabilmente sono avviate a un percorso di profonda e continua trasformazione oppure al tramonto. Occorre quindi un meccanismo in grado di attutire le conseguenze sociali di tale sviluppo e permettere una rapida riallocazione delle risorse. A questo, si aggiungeranno rapidi cambiamenti di preferenze e stili di consumo con uno sbilanciamento di potere che passerà sempre più dai brand ai consumatori, ormai perennemente connessi. Tutto ciò richiede notevoli investimenti, a maggior ragione in Italia, dove il gap digitale rispetto all'Ue è molto ampio. Ma non sempre gli imprenditori hanno le risorse necessarie alle transizioni climatica e digitale.
In questo contesto si inserisce la nuova normativa sulla crisi d'impresa, che dovrà affrontare due grandi sfide.
Anzitutto riuscire a ridurre la presenza dello Stato nella finanza delle imprese, notevolmente appesantita dai dispositivi d'emergenza attivati a seguito dell'esplosione della pandemia. Moratorie, prestiti con preammortamento, garanzie di stato, sono tutti strumenti che, in quella fase, hanno consentito al sistema produttivo di sopravvivere, ma la cui presenza può essere un forte disincentivo all’apporto di nuove risorse necessarie al risanamento aziendale, aumentando l'incertezza sul futuro delle aziende stesse.
Questo porta direttamente alla seconda sfida, che è quella di creare un modello di allocazione efficiente dei capitali necessari alla trasformazione delle aziende, il cui presupposto è la possibilità di un'apertura rapida della proprietà, e della governance, a investitori esterni.
L'impianto normativo è adeguato a questa esigenza?
La risposta è sì, ma in parte. L’obiettivo di preservare la continuità aziendale è sicuramente di grande importanza, ponendo l'enfasi sulla emersione precoce delle difficoltà: prima si individua la crisi, meglio si risolve.
Altrettanto rilevante è limitare l'intervento degli organi giudiziari e lo spossessamento per il timore del quale spesso si ritarda l’emersione delle crisi. Altro punto focale è la flessibilità prevista dalla nuova normativa nel gestire privilegi e ordini di priorità che altrimenti creerebbero rigidità sull'utilizzo delle risorse necessarie per il risanamento.
La generale intonazione del nuovo impianto normativo mi sembra però molto favorevole all'impresa e all'imprenditore, in quanto componenti del patrimonio produttivo. Sarà necessario valutare se nella pratica risulterà altrettanto efficace per permettere ai creditori di giocare un ruolo rilevante, laddove l’imprenditore non sia in grado di dare risposte adeguate alla situazione di crisi. In parte legato a questo aspetto, vi è anche il tema dell’elevato numero degli strumenti messi a disposizione. Solo la pratica ci dirà quando questa frammentazione sia veramente necessaria.